I meccanismi alla base della Riabilitazione Equestre: ecco elencate le principali indicazioni degli Interventi Assistenti con i Cavalli
Il valore degli effetti terapeutici del cavallo risale all’antichità. Già Ippocrate, 2400 anni or sono, valutava gli effetti benefici che si traevano da una lunga cavalcata. Nei suoi scritti consigliava l’andare a cavallo per combattere l’insonnia e ritemprare il fisico e lo spirito in situazioni di stress. A tal proposito potrebbe interessarti l’articolo sulla storia della Riabilitazione Equestre. Oggi, gli effetti benefici degli Interventi Assistiti del Cavallo, la Riabilitazione Equestre (RE), sono riconosciuti a livello internazionale. Studi sulla sua efficacia sono condotti con rigore scientifico in ambito universitario e sanitario anche in Italia. Dunque vediamo, in questo articolo, quali sono gli effetti terapeutici del cavallo come indicato dalle più autorevoli fonti al riguardo.

La postura a cavallo e il movimento tra i principali effetti terapeutici del cavallo
Studi scientifici, condotti anche dalla Cattedra di Neuropsichiatria infantile dell’Università di Firenze, hanno consentito di fare chiarezza. Tra gli effetti terapeutici risultano rilevanti: la particolare postura assunta in sella e le peculiarità del movimento del cavallo. I risultati delle osservazioni condotte su pazienti con disabilità neurologica e/o neuromotoria hanno dimostrato che la posizione assunta quando si monta a cavallo rappresenta un notevole aiuto nella correzione di alcuni schemi posturali patologici. In particolare risultano contrastati gli schemi in iperestensione[1], adduzione[2] ed intrarotazione[3] presenti in alcuni di questi disturbi. Tali pattern posturali ingabbiano il soggetto in posture destabilizzanti. Le persone affette hanno difficoltà nella statica, cioè a stare in piedi, nella deambulazione, nella postura seduta, nell’utilizzo delle mani, e così via…

Immagine dal web
La postura a cavallo
Analizziamo le caratteristiche della postura assunta dal cavaliere a cavallo. L’ampiezza della base d’appoggio, cioè la larghezza del dorso del cavallo, determina, nel momento in cui ci sediamo in sella, l’abduzione (“apertura”) obbligata delle anche. A tale apertura si associa la semiflessione e la extrarotazione (rotazione verso l’esterno) dell’anca. Per di più , inforcandosi sulla sella, con i piedi nelle staffe, si ottiene anche la flessione delle ginocchia e delle caviglie. In definitiva, sedendosi a cavallo, il cavaliere compie una triplice flessione di anca, ginocchio e caviglia. Tale posizione è “l’ingrediente magico” che favorisce una “postura flessoria”, funzionale e positiva per i pazienti con disabilità neuromotoria. Consente cioè al soggetto di non cadere in iperestensione con la conseguente perdita del controllo del proprio corpo.

Il bacino inforcato nella sella, inoltre, risulta ben stabilizzato e ciò pone le premesse per un possibile raddrizzamento del tronco in quei soggetti che ne hanno scarso controllo. Infine, l’introduzione del piede nella staffa induce una flessione o semiflessione dorsale del piede stesso. Questo aiuta ad inibire il piede equino[4], deformità talvolta associata ad alcune patologie neuromotorie.
Il movimento e gli effetti terapeutici del cavallo
Ma, gli studi hanno messo in evidenza che il principale strumento terapeutico della RE è proprio il movimento del cavallo. Grazie alle spinte tridimensionali, latero-laterali (destra-sinistra), antero-posteriori e verticali, che derivano dalle sue andature. Le oscillazioni ed il tapping[5] (quest’ultimo particolarmente accentuato al trotto), determinano molteplici afferenze, specie propriocettive, che favoriscono in particolare:
- la mobilizzazione del bacino;
- la regolarizzazione del tono muscolare;
- l’allineamento e la stabilizzazione posturale;
- la stimolazione e il rinforzo dei meccanismi di raddrizzamento;
- il miglioramento delle reazioni di equilibrio;
- il controllo dei movimenti involontari;
- la coordinazione e programmazione dell’atto motorio;
- la regolarizzazione della temporizzazione dell’atto motorio;
- la riduzione in frequenza ed intensità dei così detti pattern sabotatori, ovvero schemi di movimento che intervengono in maniera involontaria e che interferiscono con il movimento volontario del soggetto;
- e altro…

In più, i cambi di velocità, di direzione e gli esercizi proposti durante il lavoro a cavallo permettono di lavorare sull’orientamento spazio-temporale, sulla lateralizzazione, sui tempi di attenzione e di vigilanza, ecc… Insomma, contemporaneamente avviene una massiccia stimolazione delle capacità cognitive.
Non meno importante: la relazione
Infine, le operazioni di cura, accudimento, pulizia, insellaggio e disselaggio del cavallo (ove possibile in base alla patologia), aggiungono un ulteriore strumento di efficacia. Oltre a favorire le abilità fini-motorie[6] e la coordinazione e programmazione dell’atto motorio, stimolano la RELAZIONE con l’animale, il senso di responsabilizzazione e “del prendersi cura di”.

In questo articolo abbiamo fatto cenno ai principali meccanismi e benefici alla base della RE. In particolare ci siamo soffermati sui vantaggi a livello neuromotorio. Ma questo tipo di trattamento risulta altrettanto efficace a livello psicologico e nel trattamento delle patologie psichiche. Un tema, quest’ultimo vasto e complesso che affronteremo in un successivo articolo. Infine, non si può dimenticare l’efficacia degli interventi educativi applicati in RE. A tal riguardo potrebbe interessarti l’articolo Le tre i: inserimento, integrazione ed inclusione.
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[1] tronco, testa e arti sono in estensione massima – contrario di flessione [2] avvicinamento degli arti, o parte di essi, alla linea mediana del corpo, chiusura – contraria ad abduzione [3] rotazione dell’arto verso l’interno – contrario di [4] il piede equino è una deformità in cui l’asse del piede forma con l’asse della gamba un angolo superiore all’angolo retto. In altri termini, la punta del piede tende ad essere rivolta verso il basso e la deambulazione avverrà con l’appoggio della punta al terreno [5] pressione intermittente [6] motricità fine, fa riferimento all’uso delle mani, cioè la capacità di afferrare, stringere e manipolare un oggetto con una certa precisione
Alcune immagini dell’articolo sono tratte da internet